L’otto per mille alla Chiesa cattolica, l’imbroglio nascosto.
La Chiesa cattolica percepisce, ogni anno, oltre un miliardo di euro anche per il sostentamento del clero in servizio presso le diocesi (riferimento anno 2023). Perché? Rispondo premettendo un breve excursus storico.
Il finanziamento alla Santa Sede iniziò ben prima del 2 giugno 1946, anno della nascita della Repubblica italiana. Già all’atto della firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio 1929, la Santa Sede pretese e ottenne, in parte, che gli fosse riconosciuto un importo complessivo di oltre 3 miliardi di lire per i danni subiti con la perdita nel 1871, in seguito alla breccia di Porta Pia aperta dalle cannonate del Regio Esercito italiano, dei territori dello Stato pontificio.
Il Concordato, stipulato in nome della santissima Trinità per un importo di oltre un miliardo di lire, venne sottoscritto dal cardinale Pietro Gasparri per la Santa Sede e dal duce Benito Mussolini, quale primo ministro segretario di Stato, per il Regno d’Italia. Ai sacerdoti titolari di una parrocchia lo Stato pagava, in base a tale accordo, uno stipendio mensile. In realtà, già prima nel 1871, il Parlamento italiano aveva approvato la legge delle Guarentigie per fornire una dotazione finanziaria a Pio IX, il quale, già dichiaratosi prigioniero politico all’atto dell’occupazione dello Stato Pontificio da parte delle truppe del Regno italiano, pur di non riconoscere il nuovo Stato la rifiutò.
Il 18 febbraio 1984 lo Stato e la Santa Sede ritennero opportuna la modifica del Concordato lateranense, al fine di adeguare i loro rapporti ai “principi della Costituzione repubblicana, attraverso l’applicazione del procedimento di revisione bilaterale di cui all’articolo 7, secondo comma, della stessa Costituzione”. Il testo dell’accordo, sottoscritto per la Santa Sede dal cardinale Agostino Casaroli e per la Repubblica italiana da Bettino Craxi, allora primo ministro, all’art. 6 istituisce una commissione paritetica per la revisione, tra l’altro, degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli impegni del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici. All’atto della firma dell’accordo, le Parti istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione e l’approvazione delle norme per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano, nonché degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici. Qui iniziano le dolenti note.
La legge n. 222 del 20 maggio 1985, recante “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero in servizio nelle diocesi”, all’art. 47 comma 2 e 3, dispone che:
“1) A decorrere dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica. 2) Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”.
La norma, successivamente, ha subito varie modifiche, ma nulla è mutato rispetto alla destinazione della massa dell’IRPEF di coloro che non hanno effettuato alcuna scelta.
Quanto precede, frutto dei citati accordi bilaterali, tra Stato e Santa Sede, stravolge totalmente il diritto di scelta dei cittadini italiani rispetto alla destinazione dell’otto per mille. Come si evince chiaramente dalla norma, la ripartizione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche versata dai contribuenti che non hanno effettuato la scelta, viene destinata in proporzione alle scelte operate. Questo vuol dire che anche i cittadini che non scelgono di versare l’otto per mille alla Chiesa cattolica, e non effettuano alcuna scelta, non sanno che una grossa fetta di quella massa IRPER andrà a finire comunque nei forzieri della Chiesa cattolica, che vanta la percentuale di preferenze più alta rispetto alle altre confessioni religiose (nel 2023, 12.064.379 di firme, pari a euro 1.002.916.591). Detto importo, di oltre un miliardo di euro, è stato destinato (si veda qui) ad opere di carità solo per 243.000.000 euro, mentre la fetta più sostanziosa è andata al sostentamento del clero, 403.000.000 euro, e il rimanente, pari a euro 352.427.000, al culto e pastorale.
Si tratta di un vero e proprio scandalo, di una vergogna inaudita, che sottrae annualmente alle casse dello Stato milioni di euro che potrebbero essere utilizzati per risolvere i problemi del sistema Italia (sanità, trasporti, lavoro, povertà, ecc.). La Chiesa cattolica, così come tutte le altre confessioni religiose, dovrebbero sostenersi grazie alla beneficenza dei propri fedeli. Lo Stato, laico, tradendo la fiducia dei cittadini, ha reso vano il diritto di scelta di coloro che, mai e poi mai, avrebbero versato un solo centesimo nelle casse della già ricchissima Chiesa Cattolica. Non è vero, quindi, quanto riportato sul sito della Chiesa Cattolica (si veda qui) dove, rispondendo alla domanda:”Cos’è lotto per mille?”, si sostiene che: “La legge sull’8xmille ha applicato l’art. 7 della Costituzione, che incoraggia nuove forme di finanziamento alle Chiese tramite la libera contribuzione dei cittadini“. Non c’è niente di libero, affermarlo è falso.
(Si consiglia la lettura di: Massimo Teodori, Vaticano rapace, Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa, ed. Marsilio Editori, Venezia, 2013)
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