C’è la Chiesa cattolica e una bambina di soli nove anni – la chiameremo Giulia

I primi di marzo 2009 la maggior parte dei quotidiani italiani riferiscono, agghiacciati, la storia di una bambina di 9 anni, la chiameremo Giulia, stuprata dal patrigno e rimasta incinta di due gemelli*. La bambina, che non avrebbe potuto portare avanti la gravidanza senza un altissimo rischio per la propria vita e per quella dei gemelli che portava in grembo, viene sottoposta ad aborto terapeutico. Puntuale arriva la condanna, non dello stupratore, ma della piccola Giulia. “El aborto de una niña violada enfrenta el Estado con la Iglesia católica en Brasil”, così titolava “El Paìs” il 5 marzo 2009, aggiungendo che “Mons. José Cardoso Sobrinho scomunica la madre e i medici che hanno interrotto la gravidanza”, di una bambina di 9 anni, violentata da oltre tre anni dal patrigno. Lo stupratore, secondo il prelato, ha si commesso un atto gravissimo, ma mai tanto grave come l’aborto. Alla domanda di cosa sarebbe accaduto se la bambina, partorendo, fosse morta, il monsignore risponde:”Una donna medico italiana ha portato avanti la sua gravidanza pur sapendo i rischi che correva. E’ morta, ma si è fatta Santa!” Ecco che ritorna l’idea del dolore, della sofferenza, fino all’estremo sacrificio per trovare aperte le porte del paradiso, di un luogo immaginario che attenua la paura della morte. Un’idea malsana se si annuncia un Dio onnipotente, onnisciente e compassionevole. Un Dio compassionevole avrebbe salvato Giulia, essendo onnisciente sapeva ed essendo onnipotente poteva. A meno che l’onniscienza e l’onnipotenza non siano in contraddizione tra loro. Qual è il dubbio?  Se Dio è onnisciente può fare qualcosa di diverso di ciò che sa già che farà?

La scomunica della bambina ha creato scandalo anche all’interno delle organizzazioni laiche e posizioni contrastanti nella stessa Chiesa cattolica,  anche se il vescovo brasiliano si è affrettato a dire che lui non aveva fatto niente, in tali casi la scomunica è automatica e avviene all’atto stesso della condotta (latae sententiae). Per cercare di placare gli animi è intervenuto l’arcivescovo Rino Fisichella, con un articolo sull’Osservatore romano del 15 marzo 2009, dando un taglio netto all’obbrobrio giustizialista frettoloso del Pastore brasiliano. Il prelato, dopo un mea culpa nel quale sostiene che, prima di pensare alla scomunica era necessario circondare d’amore, abbracciare con dolcezza la bambina e trasmettergli un segno di vicinanza, ha sferrato il colpo finale:”È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia”. Meno felice, seppur veritiera, l’affermazione dello stesso Fisichella sulla morale cattolica, che ha dei principi dai quali non può prescindere, neanche volendolo. Sul punto chiedo: se la censura canonica latae sententiae è una sanzione per la quale occorre accertare la contumacia dell’agente, e se per contumacia, in tale contesto, s’intende la consapevolezza del peccato e della sua condanna (anche penale) da parte della Chiesa, e se, infine,  è necessario che il “reo” agisca in assenza di circostanze che attenuino la sua condotta, cosa si può imputare ad una bambina di nove anni? Niente, assolutamente nulla! Il diritto positivo di un qualsiasi Stato democratico, a differenza del diritto canonico (di-vino), mai avrebbe mosso alcuna accusa, ipso facto, ad una bimba di 9 anni.

Riepilogando, la scomunica è ineccepibile perché automatica, pertanto, abbracciamo la piccola Giulia scomunicandola con rammarico e dolcezza.

Rimangono da valutare altre due questioni, la prima è la scomunica dei medici, che andavano premiati per aver salvato una vita. Cosa avrebbero dovuto fare davanti a una bambina di 9 anni (alta un metro e trentatré e di 30 kg di peso) in grave pericolo di vita? Nessuno si può permettere di pensare che i medici hanno agito con leggerezza o che non sono stati segnati, oltre che dalla difficoltà della scelta professionale, anche moralmente ed eticamente. Già, dimenticavo, c’è la scomunica latae sententiae, ogni giustificazione è inutile.  La seconda questione riguarda lo stupratore, che in questa tristissima storia, ça va sans dire, è l’unico che non è stato scomunicato e, a fronte di una seria confessione, tutto gli sarà perdonato. E’ indubbio che siamo davanti ad un pedofilo, e sappiamo bene, che questi perversi non vanno scomunicati, ma spostati da una parrocchia ad un’altra.

*Tra i tanti: Corriere della sera, domenica 15 marzo 2009, pag. 23.

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