Il miracolo della moltiplicazione degli euro

Quante sono le reliquie date in pasto ai credenti dalla Chiesa cattolica per essere venerate? Ve lo dico io! Tantissime, si va dalle teste mozzate, alle gocce di sangue, dalle gocce del latte della Vergine, a pezzi del legno nel quale venne crocifisso Cristo, Croce, si racconta, portata a Roma dalla madre dell’imperatore Costantino I. Ed ancora, varie ossa, chiodi, ombelichi, mani, ginocchia, interi cadaveri, un pezzo della pietra sulla quale fu partorito Gesù, resti di cibo dell’ultima cena, lo stendardo di San Giorgio irrorato del sangue del drago, gocce di sangue dei bimbi fatti uccidere da Erode, alcuni capelli di Maria Maddalena, qualche spina della corona di Gesù, un pezzo del cespuglio non combusto che Mosé vide bruciare e centinaia di altre reliquie. E, infine, udite, udite, il prepuzio di Gesù. Un pezzo del Suo Santissimo pene, del quale, qui, vi racconto la storia. La ricerca e la conservazione delle reliquie era viva già nel II secolo, e i cristiani facevano a gara, come attesta il caso di Policarpo, a chi vocasse per primo la pelle di un martire ancora vivente e, dopo la sua morte, la comunità parlava subito della sua santa carne, con la quale voleva un qualche contatto*. Ma il maligno, invidioso e perverso, il tentatore dei giusti, vedendo la grandezza del suo martirio e l’indiscussa santità di tutta la sua vita, anzi mirandolo già incoronato con la corona della immortalità, quale premio incontestabile, si adoperò perché noi non potessimo impossessarci del suo cadavere. Molti lo desideravano per poter vivere uniti a quelle sante reliquie. Il diavolo invece persuase Niceta, padre di Erode e fratello di Alce, di presentarsi al governatore per ottenere che non fosse concessa l’autorizzazione al ritiro del cadavere. Egli si espresse così: “Che non abbandonino il culto di quel Crocefisso (proprio queste le sue parole!) e non comincino ad adorare costui”. Anche gli ebrei suggerivano e sostenevano tale opinione; anzi montarono la guardia quando noi volemmo andare a ritirare il cadavere dal rogo. Non sanno che noi non potremo mai abbandonare Cristo: Egli ha sofferto per la salvezza di tutti i credenti, innocente per i peccatori. Mai potremo adorare un altro. Egli è Figlio di Dio, perciò lo adoriamo! Ma ai martiri rendiamo solo il giusto tributo del nostro affetto, per l’amore immenso che mostrarono al loro Re, al loro Maestro. Ci sia concesso di partecipare alla loro sorte e diventare loro condiscepoli (San Policarpo: tratto dal resoconto del martirio). Non mancavano le frodi e talvolta parti di animali (denti di talpa, ossi di ratto e grasso d’orso) circolavano come resti di martiri.

La Congregazione delle Cause dei Santi, l’8 dicembre 2017, giorno della Festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ha pubblicato sul Bollettino della sala Stampa della Santa Sede (16 dicembre 2017), le istruzioni sulle “Reliquie nella Chiesa: autenticità e conservazione”. Il documento, nell’introduzione, sostiene che “Le reliquie nella Chiesa hanno sempre ricevuto particolare venerazione e attenzione perché il corpo dei Beati e dei Santi, destinato alla risurrezione, è stato sulla terra il tempio vivo dello Spirito Santo e lo strumento della loro santità, riconosciuta dalla Sede Apostolica tramite la beatificazione e la canonizzazione”. Seguono una serie di regole, circa 30 articoli, nei quali si spazia dalla ricognizione cadaverica al prelievo di frammenti della salma e, infine, al pellegrinaggio delle reliquie. Il tutto con l’autorizzazione del Vescovo della diocesi o dell’eparchia, dove sono custoditi i resti mortali o le reliquie, previo il consenso della Congregazione delle Cause dei Santi. Insomma, una cosa seria, tanto che la “Congregazione del Culto Divino e disciplina dei Sacramenti” con protocollo n. 7171/2015 datato 27 gennaio 2016, dispose in merito al pellegrinaggio delle reliquie insigne dei Beati, in riferimento al loro corpo, alla maggior parte del corpo o al cuore. Insomma, un cadavere o parte di questo viene portato in giro da una parrocchia all’altra per essere venerato dai fedeli. Come se non bastasse, sono esposti alla venerazione anche oggetti che appartennero ai Santi, come suppellettili, vesti, manoscritti e immagini che sono stati messi a contatto con i loro corpi o i loro sepolcri (V. Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti – Direttorio su pietà popolare e liturgia – principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002, n. 236). Il tutto è, a mio avviso, alquanto macabro, anche se Avvenire, in un articolo del 2 giugno 2018, afferma che “onorare il corpo di un santo significa richiamare il modo in cui ha risposto al progetto di Dio e porsi alla sua scuola”.

Cosa diviene realmente questa venerazione? Il Santo, il Beato o il Venerabile, nonché il Servo di Dio, sono il tramite per giungere a Dio, ci si affida alla loro raccomandazione (Intesa come segnalazione a scopo pratico non conseguibile per le vie ordinarie) per ottenere dall’Onnipotente una guarigione o la risoluzione di un problema proprio o altrui. Così, ci si inginocchia davanti al cranio del Beato, al suo cuore o a una sua immagine. Un pò come accadde in una delle scene del programma “Non stop”, trasmesso dalla Rai dal 1977 al 1979 e oggi reperibile su YouTube, dove Massimo Troisi e Lello Arena (componenti del gruppo cabarettistico “La Smorfia”, composto anche da Enzo De Caro) si rivolgono a San Gennaro per vincere al lotto. 

Quali sono, a parte la comicità e il grottesco, gli aspetti più rilevanti del tema della venerazione dei Santi e degli associati? Sono tre, il primo è la pubblicità che ne deriva per la Chiesa quale società commerciale che vende un prodotto potenzialmente miracoloso; il secondo è il timbro posto dalla Chiesa su un defunto, il quale, a prescindere dalla realtà della vita vissuta, divenuto Santo, Beato, ecc., per i cattolici è un esempio da imitare. Il terzo, non meno importante (è ironico), è l’aspetto economico. Si tratta di un vero e proprio business, con milioni di euro d’incassi annuali tra offerte, pellegrinaggi, libri e oggettistica varia. La sola causa di canonizzazione ha dei costi altissimi, che possono raggiungere i 750.000 euro (v. Il Fatto quotidiano, 21 settembre 2013,” Quanto costa diventare Santi? Papa chiede l’indagine sui conti. Ma non riceve risposta”, di F. A. Grana), una macchina ben oliata che produce utili assicurati. Il solo Papa Giovanni Paolo II ha proclamato 482 Santi, superato ad oggi da Papa Francesco con 898. Si potrebbe parlare del miracolo della moltiplicazione dei Santi e degli euro.

Facendo due conti, se per essere proclamati Santi devono essere stati accertati due miracoli avvenuti attraverso la loro intercessione presso Dio, mentre per diventare beati deve essere stato accertato almeno un miracolo, siamo difronte a migliaia di eventi che la Chiesa dichiara, unilateralmente, inspiegabili. A nessuno dei miracolati, però, è mai ricresciuta una gamba, una mano, un dito o un polmone, tanto da poter affermare senza alcun dubbio la veridicità dell’evento prodigioso.

Neanche i Santi e i Beati sono tutti uguali, altro che uno vale uno. L’art. 111 della ” Costituzione sulla sacra liturgia – sacro Concilio ecumenico Vaticano II” (datata 4 dicembre 1963), afferma che “(…) Perché le feste dei santi non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza, molte di esse siano celebrate da ciascuna Chiesa particolare, nazione o famiglia religiosa; siano invece estese a tutta la Chiesa soltanto quelle che celebrano santi di importanza veramente universale”. 

I Santi sono modelli da imitare? Ne cito una, Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia insieme a San Francesco d’Assisi, compatrona d’Europa e patrona delle infermiere. Vi invito a non meravigliarvi, perché la fede è una patologia attraverso la quale ci si impone di credere all’inesistente (altrimenti non sarebbe necessario credere per fede), e può portare a veri e propri deliri, anche collettivi. Santa Caterina era convinta, come San Francesco, che i demoni fossero castaldi del Signore, e attribuiva a Dio stesso queste parole:”Il demonio è dalla mia giustizia fatto giustiziere, per tormentare le anime che miserabilmente mi hanno offeso (…)”. Un Giorno, mentre assisteva un’inferma sua consorella colpita da un’ulcera cancerosa, che nessuno andava a trovare a causa del fetore proveniente dalle ferite, sentì per ben due volte la voglia di rimettere all’atto di curarle le piaghe maleodoranti. La Santa reagì accusando se stessa, perché essendo la sorella redenta col sangue del Salvatore (La sofferenza è , per  Dio, a sentire la Santa, un esercizio della virtù per ricevere la gloria della vittoria.) le sue ferite non avrebbero dovuto nausearla. Decise così di punire la propria carne, nel primo caso tuffandosi col proprio viso sulle ferite puzzolenti e infette finché non scomparve il senso di nausea. Nel secondo accadimento, bevendo un’intera una ciotola di pus, da lei raccolto all’atto della lavatura della piaga. In seguito a tale episodio confessò al frate Raimondo da Capua che non aveva mai assaggiato una bevanda più buona di quella**. Ecco uno degli esempi da seguire, ma ce ne sono numerosi. Ditemi Voi, cos’è questa, se non follia allo stato puro?

* Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora – Storia critica della Chiesa, a cura di Costante Mulas Corraine, Massari editore, Grotte di Castro (VT), 1996, pag. 308.
** Renato Pierri, Sesso, diavolo e santità – Santi, demoni ed esorcismi di un falso cristianesimo, Coniglio Editore, Roma, 2007, da pag. 55.
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