In vino veritas – discrimine tra ubriachezza ed ebbrezza alcolica
Oggi Il Fatto Quotidiano web e altri giornali on line raccontano, nella cronaca, di un ragazzo che dopo una gloriosa serata trascorsa in una sala da ballo in Liguria ha deciso, avendo alzato un po’ il gomito, di rientrare a casa a piedi lasciando la sua auto ferma in un parcheggio. Ora, se le cose sono andate così, direi che la condotta del ragazzo è stata, senza ombra di dubbio, irreprensibile. Il caso ha voluto che alle 02.00 circa, mentre faceva autostop per rincasare, s’imbattesse in una pattuglia della radiomobile dei Carabinieri. E qui, apriti cielo, la nottata ha preso il verso sbagliato. I militari, ligi al dovere, hanno deciso di sanzionare amministrativamente il ragazzo perché presentava evidenti segni di ebbrezza, cioè, difficoltà a camminare, occhi arrossati e linguaggio sconnesso.
L’art. 688 del codice penale, rubricato “ubriachezza”, puniva con la pena alternativa dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda dal lire ventimila a lire quattrocentomila, chiunque – il reato è comune – in luogo pubblico o aperto al pubblico veniva colto in stato di manifesta ubriachezza. L’art. 54 del d.lgs. ha depenalizzato la norma disponendo che, la medesima condotta, sia punita con una sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309. La ratio della norma consiste nella prevenzione dell’alcolismo e nella tutela dell’ordine pubblico, mentre gli elementi fattuali richiesti sono due, l’ubriachezza e il trovarsi in luogo pubblico o aperto al pubblico. Se vi state chiedendo se sia necessario un accertamento peritale dell’ubriachezza la risposta è no, è sufficiente la dichiarazione dei pubblici ufficiali. Bisogna chiedersi, allora, come deve essere accertato lo stato di ubriachezza, su quali elementi si basa. Sul punto la Corte di cassazione ha chiarito che il reato de quo deve ritenersi pienamente sussistente quando il comportamento in pubblico dell’ubriaco evidenzi, inequivocabilmente, uno stato tale da essere facilmente percepito da chiunque, “come nel caso in cui l’agente presenti un alito fortemente alcolico, abbia un’andatura barcollante e presenti una pronuncia incerta e balbettante” (Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 6363/1986).
A differenza dell’art. 688 c.p., il divieto di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 del codice della strada è volto a garantire la sicurezza della circolazione sulle strade e l’incolumità di chi ivi si trova. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: qual è la differenza tra ubriachezza ed ebbrezza? Il discrimine sta “nell’intensità dell’alterazione psicofisica, più grave nella prima per la presenza di un maggior tasso alcolemico, nonché nel fatto che mentre l’ebbrezza può non essere manifesta, l’ubriachezza è punibile solo quando lo è. L’ubriachezza, quindi, in sè comprende e assorbe, dal punto di vista clinico, l’ebbrezza, perché ne costituisce uno stato più avanzato: ma, per essere perseguibile, deve essere oltre che in luogo pubblico, anche manifesta” (Cass. Pen., Sez. U, sent. n. 1299/1996).
Un’altra domanda alla quale è necessario rispondere è la seguente: le due norme, quella penale e quella amministrativa, possono concorrere? Detto con altri termini, se si viene colti alla guida in stato di ebbrezza, accertato a mezzo di etilometro, si può essere sanzionati anche amministrativamente perché in stato di ubriachezza? In generale si può affermare che l’art. 688 c.p., l’ho già detto, richiede che la condotta si attui in luogo pubblico o aperto al pubblico, pertanto, se durante il controllo ex art. 186 del codice della strada rimango all’interno del veicolo, cioè in luogo esposto al pubblico (Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 22594/2005) non posso, non sussistendone i requisiti, essere sanzionato amministrativamente per ubriachezza. La risposta alla domanda testé formulata è, però, un’altra, considerato che le suddette norme, pur tutelando interessi differenti riguardano il medesimo “fatto storico”. Quindi no, non si può essere sanzionati due volte stante il divieto posto dal principio ne bis ne idem e la disposizione dell’art. 9 comma 1 della legge n. 689 del 24 novembre 1981, secondo il quale “quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”. *Pur parlando l’art. 9, comma 1, cit., di “stesso fatto”, e non di “stessa materia”, come invece fa l’art. 15 c.p., il criterio dettato dalla legge di depenalizzazione è ormai costantemente inteso come espressivo della “specialità in astratto”. L’art. 9, legge n. 689/1981, opera, cioè, se, e nei limiti in cui, la fattispecie prevista nella disposizione punitiva generale sia compresa in quella speciale, la quale contiene un elemento ulteriore rispetto alla prima, così che, ove non fosse prevista la norma speciale, la fattispecie rientrerebbe nella disposizione generale. Non ha quindi rilievo decisivo, al fine di individuare il rapporto di specialità occorrente per dissolvere un concorso apparente di norme, l’una penale, l’altra amministrativa, il criterio del bene o dell’interesse protetto dai precetti punitivi concorrenti, quanto il dato che le previsioni sanzionatrici coincidano sotto il profilo dell’identità dell’avversato comportamento del trasgressore e si differenzino per il fatto di dar rilievo, l’una e non l’altra, ad ulteriori elementi tipizzanti, appunto, “speciali”.
Ritornando al verbale redatto dei militari dell’Arma, secondo consolidata giurisprudenza ed in relazione all’art. 2700 c.c., “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. Tale efficacia concerne tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione menzionati nell’atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l’obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, giacché egli deve dare conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quale detta presenza ne ha consentito l’attestazione (Cass. Civ., Sez. U, sent. n. 17355/2009) .
In conclusione, ferma restando la condotta esemplare del ragazzo nel lasciare l’auto parcheggiata e nell’avviarsi a casa a piedi, c’è da domandarsi se un verbale di ubriachezza ex art. 688 c.p. possa avere conseguenze sul documento che abilita alla guida. L’art. 119 del codice della strada indica i requisiti fisici e psichici necessari per il conseguimento della patente di guida e, in linea generale, ai sensi del d.lgs n. 59/2011, “si può affermare che la patente di guida non deve essere rilasciata né rinnovata al candidato o conducente che si trovi in stato di dipendenza dall’alcool o che non possa dissociare la guida dal consumo di alcool. La patente di guida può essere rilasciata o rinnovata al candidato o conducente che si sia trovato in stato di dipendenza dall’alcool, al termine di un periodo constatato di astinenza, previa valutazione della Commissione medica locale**”.
N.B. – Le informazioni che precedono potrebbero essere inesatte o non corrispondere all’attuale indirizzo giurisprudenziale. Per pareri o consulenze su casi concreti è necessario rivolgersi a un avvocato.
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